Intervista a Gigi Rana, uno degli chef più eclettici del panorama culinario internazionale, la sua cucina è arte
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Domanda: Come hai iniziato il tuo percorso in cucina e a proporre menù creativi ispirati all’arte?
Risposta: “Il mio percorso in cucina è iniziato a 15 anni alla scuola alberghiera grazie ai miei docenti di sala/bar e cucina e grazie alla loro introduzione ho alternato lo studio al lavoro come stagionale. Una spinta decisiva è veduta da mia madre e mia nonna. Ero molto giovane e loro, per prime, hanno visto e creduto alle mie capacità in cucina. L’inizio è stato duro, non rifiutavo nessuna esperienza, neppure le più dure come i villaggi vacanze ed altre esperienze dove dovevi cucinare per una massa di persone. Poi ho girato molto dalla Sicilia a Cervia , Riccione, stage scolastico da Spigaroli a Polesine Parmense, banchetti, sale ricevimenti, matrimoni. Di tutto insomma.
Lì ho capito che per fare questo mestiere bisogna lavorare anche 18 ore filate. Con queste basi, dal mio diploma in avanti nel 2006, sono stato alla Posta Vecchia una stella Michelin per 3 anni e poi a Londra. Viaggiando ho maturato l’idea di una cucina creativa unendo la cucina all’arte. E devo dire che il gusto per le cose belle mi viene da mio padre che aveva negozi di alta moda e fin da bambino ero ero ammirato dal suo buon gusto, dall’eleganza, mi ha fatto capire l’importanza dei dettagli. Fa parte della mia formazione.
Tutto questo l’ho trasportato nella mia cucina. A New York, dopo la dura gavetta, ho avuto finalmente la possibilità di dedicarmi, da responsabile della cucina in un locale nel West Village, alla ricerca e alla sperimentazione. Proprio la vita di New York, i suoi musei di arte moderna, mi hanno ispirato e spinto ad unire la modernità alla mia terra pugliese, cercando una via originale per sposare la tradizione della mia terra, che porto nel cuore, con la modernità. In sintesi volevo unire le materie prime pugliesi alla tecnica di cucina francese e all’esperienza di New York. Per dare ad ogni piatto non solo una ragione di stagionalità ma un’anima vera e propria. Certamente alla base sta la materia prima pugliese che io definisco un miracolo per colore, sapore, integrità, profumo. La devi usare, valorizzare con pochi tocchi per farla risaltare al massimo.
D: Qual è il tuo artista preferito, quello al quale ti ispiri con maggior frequenza quando componi i tuoi menù?
R: “Non ho solo un artista, l’ispirazione mi viene da tante fonti diverse. Seguo molti artisti della musica, del cinema, attori e il loro stile di vita. La musica è fondamentale per me, ogni epoca della mia vita è stata segnata da un musicista diverso. Bob Marley, Dire Straits, AC/DC, Cure, BB King, il Jazz che sentivo a New York, Rolling Stones, erano onde di creatività che si riversavano nei miei piatti. Anche la musica lirica mi ha aiutato a capire gli equilibri di una cucina. I miei menù sono un insieme di ispirazioni e sensazioni che danno un’anima diversa ad ogni piatto. In questo mi identifico molto, sono incontentabile, irrequieto, sempre alla ricerca di stimoli, un caos calmo, come gli artisti e questo mi piace”
D: Colpisce molto nei tuoi piatti l’impatto visivo, la creatività. Cosa ti ispira, come nascono? Viene prima una visione alla quale vuoi arrivare o si forma costruendo in cucina il piatto?
R: “È una domanda molto bella e specifica, è una cosa che non ha mai chiesto nessuno. È molto importante. Alla base devo tener presente la location, il costo delle materie prime e quello che c’è a disposizione e il tipo di clientela del ristorante. Quando faccio un menù, un piatto non è mai una visione, è il frutto del mio istinto e del contesto nel quale mi trovo.
Spontaneamente penso al Mediterraneo con i suoi colori e profumi che mi vengono dalla materia prima, non solo della Puglia, ma di tutti i paesi, anche Nordafricani che si affacciano sullo stesso mare. E poi tratto il tutto con i principi della cucina francese che adoro e che per me resta basilare. Al di là delle diatribe fra cucina italiana e francese. I francesi hanno un rigore ed un rispetto dello stare in cucina per noi inarrivabile.
Dunque i miei piatti nascono dal mio istinto, dalla visione e dalla cucina francese.
La differenza la vedi dal modo con il quale uno chef francese si approccia ad un piatto, da come si avvicina e tocca la materia prima fino ad arrivare all’impiattamento. Solo chi sta in cucina può percepire la differenza e capirne il risultato.
Per me significa francezizzare la Puglia. Questo è il mio approccio alla cucina.
Io studio le antiche ricette ed usanze francesi e ad esempio lo citano in pochi ma fu Luigi XV ad introdurre il servizio a tavola, il servizio lo hanno praticamente inventato i francesi. Prima di Luigi XV il servizio non esisteva, si banchettava in gran disordine, ha istituito regole per i commensali, per la degustazione dei piatti. Per questo ammiro personalmente la cucina francesce. Io mi batto da sempre per le materie prime pugliesi, trattate come lo farebbero gli chef francesi e con una attenzione all’arte moderna. Per me sarebbe il Top.
D: Cosa apprezza di più da un cliente davanti ad una portata. Che ti dica “molto bello” o “squisito”?
R: “Su questa domanda potrei dire tantissime cose. Perchè mi piace moltissimo finire i miei piatti davanti al cliente che è la massima finalizzazione di un servizio al cliente. Così mischi le tue energie con quella del cliente in attesa ed aumenta a livello esponenziale la completezza del piatto. Adoro il confronto ed i clienti che vogliono sapere e che ne fanno un momento di cultura personale. Se poi è in grado di esprimere un parare tecnico, anche un dubbio, sulla cottura o altro per me è estremamente apprezzabile.
D: Per un menù come il tuo quanto è importante un servizio in sala che sappia orientare e comprendere i gusti del cliente?
R: “Il servizio in sala è molto importante e assolutamente complementare e sinergico a quello che si fa in cucina. Pur rispettando i gusti del cliente il maitre o il capo sala deve orientare alla miglior scelta, per esempio, dei vini che possono accompagnare i piatti scelti. Oppure un distillato a fine pasto.
D: Per te cos’è la semplicità?
R: “La semplicità è la cosa più difficile e complicata da ottenere. Può sembrare un ossimoro ma non è banalità. La semplicità è minimizzare i movimenti, ridurre tutto all’essenziale. Il futuro della semplicità si realizza facendo una “radiografia” alla materia prima per tirare fuori il meglio con la tecnica e la creatività, il tatto.
Per me lo chef deve toccare la materia prima, la deve conoscere, deve immaginarla nel piatto come un’opera d’arte per il cliente. Questa è per me la semplicità, togliere piuttosto che aggiungere. Infatti per me in un piatto non ci devono essere più di 3 elementi.
Fino ad arrivare all’estremo di un elemento solo. In questo modo la star del ristorante è la materia prima che conta per il 60% della cucina. Sono per il minimalismo, basta con le accozzaglie, le cucine fusion.
D: Hai in cantiere progetti che ti piacerebbe realizzare?
R: “Ho tanti progetti perché sono un sognatore. I miei sogni sono aprire un ristorante a New York, magari nel West Village, con 40 posti di cucina mediterranea. Semplice ed essenziale. L’altro progetto è viaggiare e acquisire conoscenze nuove.
Mi piace ricominciare sempre con nuove esperienze, non so star fermo. È un amore ma anche una condanna. Sono uno chef dannato, devo sempre analizzare quello che ho fatto, cercare di migliorarmi o di trovare nuove strade, nuove tradizioni ed usanze legate al cibo.
Non sono scelte facili, a volte il prezzo da pagare è alto, ma la mia anima è soddisfatta. Non mi pento. Viaggiare è indispensabile a tener viva la fiamma della creatività.
È il mio ossigeno. Ecco questo forse è il mio progetto più grande, appagare il mio desiderio di novità, di creatività viaggiando e assorbendo conoscenze da elaborare.
Grazie Gigi Rana e buon viaggio!